giovedì 16 aprile 2020

Medici


E' tutta colpa di Richard Chamberlain e del suo dottor Kildare, uno dei primi Medical Drama (come si dice ora)  trasmessi alla televisione.
Ho scelto la facoltà di medicina anche per merito/colpa di quella serie.
Ad essere del tutto sincero, medicina, almeno per un anno della mia vita, fu la seconda scelta rispetto all'accademia aeronautica di Pozzuoli alla quale dovetti rinunciare causa occhiali.
Ma poi, alla fin fine, è stato meglio così.
Al sesto anno di università, quando frequentavamo le cliniche specialistiche, entrai in sala parto e mi sentii a casa, facendo la scelta della mia vita che ho mantenuto fino a cinque anni fa, quando ho deciso di uscire dall'ospedale e diventare responsabile del servizio consultoriale.
Sono trent'anni che esercito la professione di medico, non solo di ginecologo, perché in un ospedale di provincia come quello in cui ho lavorato, facevamo anche le guardie di pronto soccorso e bisognava saper fare di tutto. Negli anni ho lavorato con tanti colleghi, e ho capito che abbiamo in comune una sola cosa: siamo esseri umani che si prendono cura di altri esseri umani.
Abbiamo fatto la scelta tanti anni fa e la portiamo avanti, da puri e semplici esseri umani.
Come esseri umani siamo fallibili, ci stanchiamo, ci girano le palle, ci sforziamo ogni giorno (non sempre riuscendoci) di non portare a casa le tensioni del lavoro e al lavoro quelle di casa e quando incontriamo un paziente vogliamo guarirlo o, se non è possibile, almeno lenire il suo dolore e migliorarne la qualità di vita.
Siamo esseri umani, e per questo tra noi ci sono figli di puttana, inguaribili idealisti, professionisti attirati dalla celebrità, lavoratori che inanellano, come formichine, turni dopo turni occupandosi del quotidiano e geni della ricerca che aprono nuove strade.
Ma non ci sono eroi, supereroi o santi.
E siamo sempre stati così.
Siamo sempre rimasti così mentre i politici ci esautoravano della gestione della salute pubblica ritenendo di essere più preparati a farlo di chi aveva competenze specifiche.
Siamo sempre rimasti così mentre la finanza si affrettava a dimostrare con i suoi manager che un ospedale è un azienda e deve “spendere sempre meno pur mantenendo gli stessi servizi, anzi aprendone almeno uno nuovo all'anno” (questo è stato il ritornello degli ultimi cinque anni di contrattazione budget)
Siamo sempre rimasti così mentre diventavamo Malasanità grazie alla gogna mediatica (non che non ci siano stati errori da parte nostra, sia chiaro) che ha spinto la gente a guardarci come se fossimo dei criminali, tutti indistintamente, e mai dimenticherò lo spot pubblicitario della signora Enrica Bonaccorti che spingeva a denunciare chiunque “avesse il sospetto di essere stato trattato non adeguatamente”.
Siamo sempre rimasti così mentre il nostro contratto di lavoro rimaneva al palo per dieci anni e  i lavoratori delle dirigenze amministrative ed altri ambiti statali (no, la Scuola no) vedevano lievitare i loro stipendi e gli incentivi.
Siamo sempre rimasti così mentre venivano “ottimizzate le risorse” ovvero ridotti gli ospedali e i posti letto, le assunzioni di nuovo personale e l'acquisto di nuovi macchinari (mentre a livello amministrativo/politico si moltiplicavano incarichi e assunzioni).
E ci ostiniamo a rimanere così anche quando dobbiamo confrontarci con pazienti e familiari che nulla sanno di medicina e arrivano carichi di giudizi e pregiudizi, convinti di poterci insegnare il nostro mestiere.
Perché noi abbiamo giurato di curare tutti. I colleghi di Medici Senza Frontiere, nei teatri di guerra, curano gli appartenenti ad ogni fazione, e li rimettono in piedi pur sapendo che torneranno a spararsi.
E sapete qual'è il motivo? Quello che che accomuna tutti i medici?
A noi piace vedere le vostre facce “dopo”. Quando il dolore è passato, e il pericolo pure, quando ci guardate con occhi luminosi e increduli, e abbozzate un sorriso.
Questo è quanto ci è sempre bastato per continuare a lavorare, a capire che tutti i sacrifici che abbiamo fatto nella nostra vita erano serviti a qualcosa. Perché anche il più avido di noi, se lavorasse solo per il guadagno, cercherebbe un lavoro meno rischioso e più remunerativo.
Perché noi siamo qui per voi, non contro di voi.
Aiutateci piuttosto, quando l'emergenza del Coronavirus sarà finita, a riportare la sanità a buoni livelli di personale e apparecchiature e soprattutto sotto la direzione di personale competente, non di presunti manager esperti di aria fritta.
E fateci riprendere il nostro lavoro quotidiano, che ci piace tanto, con serenità.
Non abbiamo bisogno di discorsi altisonanti, spot pubblicitari e altre manifestazioni, non abbiamo nemmeno bisogno di “bonus” in busta paga, buoni solo a lavare le coscienze sporche di chi ci ha diretto negli ultimi venti anni.
Abbiamo bisogno che i nostri pazienti stiano al nostro fianco.
Volete ringraziarci? Okay, offriteci un caffè.
Ci basta.

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