Ci sono due canzoni che mi fanno pensare agli anziani di casa nostra rispetto a tante altre: quella di Baglioni (I Vecchi) e Nei Giardini che Nessuno Sa di Renato Zero.
Mi fanno pensare che nella mia vita ho sempre avuto "Un vecchio" in casa da assistere, e per me la famiglia è sempre stata composta da bambini, adulti e vecchi alle volte malati, poi malati per sempre e poi morti sul loro letto.
E' così anche adesso che abbiamo in casa mia suocera con una sindrome mista Alzheimer - Parkinson che, insieme a mia moglie ed una badante diurna, assistiamo accompagnandola nell'inevitabile decorso della sua malattia.
Questa presenza, per me, può causare preoccupazioni mediche nell'assistenza, ma è comunque una presenza di famiglia, con un rapporto strano e specifico, ma che porta sempre qualcosa al nostro stare insieme creando occasioni per condividere.
Penso anche che ormai questa modalità di assistenza degli anziani si sta perdendo, e penso anche alla Svezia dove è stato istituto addirittura un ministero per rintracciare i parenti degli anziani che muoiono da soli.
Chissà, mi chiedo alla soglia dei sessant'anni, cosa sarà della mia vecchiaia.
E, cinicamente, non m'aspetto nulla di buono.
Bah... stamattina è così, vado a bere il caffè.
mercoledì 29 aprile 2020
lunedì 27 aprile 2020
Luoghi
Eccolo qua:
https://sdiario.com/il-castello-del-ritorno-di-giuseppe-demilio-pelagio-dafro-4/
Una parte di me/scrittore multiplo ha pubblicato un racconto.
Dopo averlo letto ho cercato di ripensare se e quando ho mai provato la sensazione di appartenenza ad un luogo.
E devo ammettere che questo, per me, non è mai accaduto con un luogo geografico.
Le radici pescano in una infanzia e adolescenza vissute seguendo i miei genitori che venivano trasferiti, a causa dei loro lavori, in giro per l'Italia spingendomi a non avere una fissa dimora e nemmeno una cerchia di amici di infanzia.
Non compatitemi, ho vissuto bene lo stesso.
Insomma, posso sentirmi a casa dovunque e in nessun luogo.
Tuttavia ci sono luoghi nascosti nei libri dove, dopo poche righe, sento di appartenere e poter riposare.
E tra tutti i libri c'è anche un fumetto.
Quello per il quale litigai a scuola con i compagni che lo disprezzavano perché, dicevano, era difficile, con troppe parole, disegni brutti e colori strani quali il rosa e l'arancione con una strana storia di marinai della prima guerra mondiale nelle isole del Pacifico.
Lo pubblicava il Corriere dei Piccoli e il suo titolo era: Una Ballata del Mare Salato.
Una cotta che non mi è mai passata.
https://sdiario.com/il-castello-del-ritorno-di-giuseppe-demilio-pelagio-dafro-4/
Una parte di me/scrittore multiplo ha pubblicato un racconto.
Dopo averlo letto ho cercato di ripensare se e quando ho mai provato la sensazione di appartenenza ad un luogo.
E devo ammettere che questo, per me, non è mai accaduto con un luogo geografico.
Le radici pescano in una infanzia e adolescenza vissute seguendo i miei genitori che venivano trasferiti, a causa dei loro lavori, in giro per l'Italia spingendomi a non avere una fissa dimora e nemmeno una cerchia di amici di infanzia.
Non compatitemi, ho vissuto bene lo stesso.
Insomma, posso sentirmi a casa dovunque e in nessun luogo.
Tuttavia ci sono luoghi nascosti nei libri dove, dopo poche righe, sento di appartenere e poter riposare.
E tra tutti i libri c'è anche un fumetto.
Quello per il quale litigai a scuola con i compagni che lo disprezzavano perché, dicevano, era difficile, con troppe parole, disegni brutti e colori strani quali il rosa e l'arancione con una strana storia di marinai della prima guerra mondiale nelle isole del Pacifico.
Lo pubblicava il Corriere dei Piccoli e il suo titolo era: Una Ballata del Mare Salato.
Una cotta che non mi è mai passata.
sabato 25 aprile 2020
Porco per sempre
Partiamo dalla osservazione rivolta da Vittorio Foa, senatore socialista, partigiano del Partito d’Azione e rappresentante del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) a Giorgio Pisanò, fascista, anche lui eletto al Senato della Repubblica dopo la Liberazione.
« Abbiamo vinto noi e sei diventato senatore; se aveste vinto voi io sarei morto o in galera »
La festa che ricorre oggi per noi italiani non è una festa di pace e fratellanza universale.
E' la festa di chi è riuscito a scrollarsi di dosso un regime dittatoriale e quindi limitatore della libertà anche di opinione e pensiero.
Un regime che intrallazzava con i faccendieri del proprio colore politico, che corrompeva e si lasciava corrompere (e questo non è un sentito dire, i miei due nonni: Giovanni ed Arturo, per essere stati antifascisti, dopo la prima guerra mondiale si fecero anche la seconda, e non hanno mai smesso di raccontare cosa fosse vivere nel "ventennio").
Un regime costituito da tutti quegli italiani che il 28 aprile del 1945, miracolosamente, tolsero la camicia nera e si mimetizzarono nell'Italia libera dove hanno sempre vissuto una vita normale grazie alla democrazia che aveva vinto, come ricordava Foa.
Italiani che hanno avuto la possibilità di coltivare le proprie idee, mascherandole da altro perché (ricordiamo anche questo) l'apologia del fascismo, nell'ordinamento giuridico italiano, è un reato previsto dall'art. 4 della legge Scelba attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
E ora stanno risbucando fuori, desiderosi di convincere un popolo in crisi che ha sempre subito la fascinazione dell'Uomo Forte, usando mezzi nuovi, come i social, per infondere la paura dell'altro di cui si nutrono, fingendosi simpatici bonaccioni lanciando slogan ai quali non corrisponde alcuna sostanza, andando a caccia del nemico, non appena hanno un briciolo di autorità, suonando al citofono come fossero bulli da scuola elementare, pensando di poter usare lo stato e i suoi organi per puro sfizio personale e sottraendosi ai doveri di governo per gettare solo fumo negli occhi agli elettori senza riuscire nemmeno a ipotizzare soluzioni per uno solo dei problemi della nostra nazione capaci solo di essere "contro" e mai "pro".
Lo so che l'attuale governo, e parecchi di quelli che li hanno preceduti, non di destra, hanno portato l'Italia dov'è adesso, perché la corruzione, l'intrallazzo e la voglia di personalismo dei politici pare connaturata nella nostra cultura.
Lo so che anche poter scrivere un post del genere,forse, è solo una presa per il culo, perché non serve a nulla in concreto, e tutto andrà avanti come sempre.
Ma posso essere libero di farlo e per me (così come esprimere un voto) questo diritto odora del sangue e del sudore dei miei nonni che hanno combattuto due vere guerre (non una menata di guerra antivirus da divano) in trincea e "cagandosi sotto" come dicevano sempre.
E non mi interessa se "quando c'era Lui i treni arrivavano in orario" bella consolazione, specialmente per quelli che trasportavano gli ebrei nei campi di concentramento!
Quindi stamattina il mio caffè lo dedico a quanti hanno pagato col sangue il nostro diritto ad essere liberi, e, se potessi lo offrirei a tutti quelli che la pensano come me che sono orgogliosamente Porco.
Perché dovete sapere che la quarantena ha incentivato il mio sovrappeso donandomi un aspetto da porcello di cui proprio oggi sono orgoglioso, perché la frase che voglio ribadire oggi soprattutto perché inizia a diventare "pericolosa" è questa:
P.S. Se vi va, guardate o riguardate il film di Miyazaki Porco Rosso.
« Abbiamo vinto noi e sei diventato senatore; se aveste vinto voi io sarei morto o in galera »
La festa che ricorre oggi per noi italiani non è una festa di pace e fratellanza universale.
E' la festa di chi è riuscito a scrollarsi di dosso un regime dittatoriale e quindi limitatore della libertà anche di opinione e pensiero.
Un regime che intrallazzava con i faccendieri del proprio colore politico, che corrompeva e si lasciava corrompere (e questo non è un sentito dire, i miei due nonni: Giovanni ed Arturo, per essere stati antifascisti, dopo la prima guerra mondiale si fecero anche la seconda, e non hanno mai smesso di raccontare cosa fosse vivere nel "ventennio").
Un regime costituito da tutti quegli italiani che il 28 aprile del 1945, miracolosamente, tolsero la camicia nera e si mimetizzarono nell'Italia libera dove hanno sempre vissuto una vita normale grazie alla democrazia che aveva vinto, come ricordava Foa.
Italiani che hanno avuto la possibilità di coltivare le proprie idee, mascherandole da altro perché (ricordiamo anche questo) l'apologia del fascismo, nell'ordinamento giuridico italiano, è un reato previsto dall'art. 4 della legge Scelba attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
E ora stanno risbucando fuori, desiderosi di convincere un popolo in crisi che ha sempre subito la fascinazione dell'Uomo Forte, usando mezzi nuovi, come i social, per infondere la paura dell'altro di cui si nutrono, fingendosi simpatici bonaccioni lanciando slogan ai quali non corrisponde alcuna sostanza, andando a caccia del nemico, non appena hanno un briciolo di autorità, suonando al citofono come fossero bulli da scuola elementare, pensando di poter usare lo stato e i suoi organi per puro sfizio personale e sottraendosi ai doveri di governo per gettare solo fumo negli occhi agli elettori senza riuscire nemmeno a ipotizzare soluzioni per uno solo dei problemi della nostra nazione capaci solo di essere "contro" e mai "pro".
Lo so che l'attuale governo, e parecchi di quelli che li hanno preceduti, non di destra, hanno portato l'Italia dov'è adesso, perché la corruzione, l'intrallazzo e la voglia di personalismo dei politici pare connaturata nella nostra cultura.
Lo so che anche poter scrivere un post del genere,forse, è solo una presa per il culo, perché non serve a nulla in concreto, e tutto andrà avanti come sempre.
Ma posso essere libero di farlo e per me (così come esprimere un voto) questo diritto odora del sangue e del sudore dei miei nonni che hanno combattuto due vere guerre (non una menata di guerra antivirus da divano) in trincea e "cagandosi sotto" come dicevano sempre.
E non mi interessa se "quando c'era Lui i treni arrivavano in orario" bella consolazione, specialmente per quelli che trasportavano gli ebrei nei campi di concentramento!
Quindi stamattina il mio caffè lo dedico a quanti hanno pagato col sangue il nostro diritto ad essere liberi, e, se potessi lo offrirei a tutti quelli che la pensano come me che sono orgogliosamente Porco.
Perché dovete sapere che la quarantena ha incentivato il mio sovrappeso donandomi un aspetto da porcello di cui proprio oggi sono orgoglioso, perché la frase che voglio ribadire oggi soprattutto perché inizia a diventare "pericolosa" è questa:
P.S. Se vi va, guardate o riguardate il film di Miyazaki Porco Rosso.
venerdì 24 aprile 2020
Campo minato
C'è una riflessione che mi rode dentro e riguarda le donne (evitiamo le solite battute, per favore).
Mi riferisco ad un atteggiamento ancora oggi molto diffuso da parte delle donne italiane nell'ambito lavorativo (nello specifico in sanità): farsi strada a colpi di favori sessuali.
Calmi!
Mi spiego meglio.
Prendo in considerazione medici e infermiere che hanno fatto carriera non (solo) perché valenti professioniste, ma anche per essere diventate amanti di politici, direttori di reparto, cattedratici universitari.
E si trovano molto bene in questo ruolo.
Lo so, non tutte fanno così. Lo so, la colpa è della “fallocrazia” del sistema lavoro.
Però, ripeto, ne conosco diverse (a memoria almeno dodici) che sono ben contente di quello che hanno e di come l'hanno ottenuto soprattutto prevaricando le altre colleghe grazie a gonne corte, décolleté e sbattimento di ciglia.
Allora rifletto: in questo mondo post #metoo io mi aspetterei che donne alle quali venga fatta una proposta del genere siano libere di sputtanare il proponente o addirittura l'intero ambiente se è “quello che ti spinge a farlo.”
Perché, vedete, queste sono poi le donne che quando altre donne vengono molestate e/o aggredite (nel vero senso della parola) sul luogo di lavoro voltano il viso dall'altra parte e, se possono, scoraggiano la vittima a reagire prendere provvedimenti (e anche questo l'ho vissuto).
E questo mi fa bellamente incazzare.
Forse ho preso troppi caffè.
Mi riferisco ad un atteggiamento ancora oggi molto diffuso da parte delle donne italiane nell'ambito lavorativo (nello specifico in sanità): farsi strada a colpi di favori sessuali.
Calmi!
Mi spiego meglio.
Prendo in considerazione medici e infermiere che hanno fatto carriera non (solo) perché valenti professioniste, ma anche per essere diventate amanti di politici, direttori di reparto, cattedratici universitari.
E si trovano molto bene in questo ruolo.
Lo so, non tutte fanno così. Lo so, la colpa è della “fallocrazia” del sistema lavoro.
Però, ripeto, ne conosco diverse (a memoria almeno dodici) che sono ben contente di quello che hanno e di come l'hanno ottenuto soprattutto prevaricando le altre colleghe grazie a gonne corte, décolleté e sbattimento di ciglia.
Allora rifletto: in questo mondo post #metoo io mi aspetterei che donne alle quali venga fatta una proposta del genere siano libere di sputtanare il proponente o addirittura l'intero ambiente se è “quello che ti spinge a farlo.”
Perché, vedete, queste sono poi le donne che quando altre donne vengono molestate e/o aggredite (nel vero senso della parola) sul luogo di lavoro voltano il viso dall'altra parte e, se possono, scoraggiano la vittima a reagire prendere provvedimenti (e anche questo l'ho vissuto).
E questo mi fa bellamente incazzare.
Forse ho preso troppi caffè.
mercoledì 22 aprile 2020
Consigli di lettura
Qualche giorno fa ho ricevuto una mail pubblicitaria da laFeltrinelli, oggetto: I libri da leggere almeno una volta nella vita.
Mi sono divertito a scorrerla per vedere quanti ne avessi letto e mi sono imbattuto nella sezione Libri per Giovani Lettori dove due titoli mi sono balzati all'occhio: Il Giovane Holden e Moby Dick.
Complimenti vivissimi ai giovani lettori contemporanei, perché quando questo dinosauro quasi sessantenne aveva la loro età forse nei libri consigliati c'era appena Moby Dick (e in versione facilitata).
Quanti anni avranno i giovani lettori della Feltrinelli?
Che tipi sono?
La mia curiosità è tanta.
Vedete, si può dire che io, tutt'ora non sia mai sceso dalla tolda del Pequod e nemmeno dai taxi newyorkesi di Holden.
Sono libri che di tanto in tanto riprendo e apro a caso trovando sempre un motivo di riflessione.
I flussi di coscienza di Salinger e i capitoli di erudizione di Melville, non so perché, nella mia vecchia mente bacata non si adattano tout court ad un giovane lettore di oggi.
Capisco che la mail deve essere centrata sul catalogo dell'editore e ci sono altri titoli forse più appetibili, però la perplessità resta.
Nel mio mondo perfetto mi piacerebbe poter chiacchierare con un figlio o nipote di questi libri, ma nella mia realtà cinica, mi sa, le probabilità sono scarse.
Mi auguro di essere sbugiardato malamente.
In attesa, bevo il secondo caffè della mattinata.
lunedì 20 aprile 2020
Pesci Rossi
Coronavirus?
Confusionevirus!?
A me pare che l'unico vero effetto di questa pandemia sia la confusione.
Non so voi, ma nella mia testa faccio una fatica costante a mantenere una rotta ferma che possa condurmi con residui brandelli di sanità mentale alla lontana fine del tunnel di questa quarantena.
Intorno succede di tutto, tutti sono diventati esperti di virologia, epidemiologia, gestione finanziaria, politica internazionale, politica economica, e, perché no, di terapia medica e ricerca farmacologica.
Oltre a questo pare che la quarantena / pandemia abbia indotto una mutazione sui circuiti mnemonici umani, ora ci ritroviamo con la memoria dei pesci rossi.
Anche se non del tutto scientificamente appurato, però pare che i pesci rossi continuino a girare nelle loro bocce di vetro perché dimenticano di aver già girato.
Normalmente ci si scherza su dicendo che nella prima metà del giro i pesci rossi pensano “Che bella questa nuova boccia” nella seconda metà “Che palle 'sta boccia” per poi tornare a pensare “Che bella questa nuova boccia”.
Noi abbiamo attraversato una prima fase: “Tranquilli è solo un influenza” poi siamo andati al “Non voglio morire resto a casa!” ed ora che la situazione sta migliorando grazie alla quarantena siamo tornati al “L'avevo detto che è solo un influenza.”
Mancano voci scientifiche davvero autorevoli che possano elevarsi sulla confusione e dare direttive precise, mancano dati precisi perché in questa che viene definita la società globalizzata percorsa da ininterrotti flussi di dati, beh, i dati fanno schifo, sono inconcludenti e non significativi.
Mettiamoci pure che nel frattempo Cina, USA e Russia giocano a chi ce l'ha più grosso e si accusano a vicenda di aver provocato la pandemia e capirete quanto è forte la voglia di ritirarmi in un silenzio claustrale rotto solo dal rumore del caffè che scende nella tazzina.
Mah...
Confusionevirus!?
A me pare che l'unico vero effetto di questa pandemia sia la confusione.
Non so voi, ma nella mia testa faccio una fatica costante a mantenere una rotta ferma che possa condurmi con residui brandelli di sanità mentale alla lontana fine del tunnel di questa quarantena.
Intorno succede di tutto, tutti sono diventati esperti di virologia, epidemiologia, gestione finanziaria, politica internazionale, politica economica, e, perché no, di terapia medica e ricerca farmacologica.
Oltre a questo pare che la quarantena / pandemia abbia indotto una mutazione sui circuiti mnemonici umani, ora ci ritroviamo con la memoria dei pesci rossi.
Anche se non del tutto scientificamente appurato, però pare che i pesci rossi continuino a girare nelle loro bocce di vetro perché dimenticano di aver già girato.
Normalmente ci si scherza su dicendo che nella prima metà del giro i pesci rossi pensano “Che bella questa nuova boccia” nella seconda metà “Che palle 'sta boccia” per poi tornare a pensare “Che bella questa nuova boccia”.
Noi abbiamo attraversato una prima fase: “Tranquilli è solo un influenza” poi siamo andati al “Non voglio morire resto a casa!” ed ora che la situazione sta migliorando grazie alla quarantena siamo tornati al “L'avevo detto che è solo un influenza.”
Mancano voci scientifiche davvero autorevoli che possano elevarsi sulla confusione e dare direttive precise, mancano dati precisi perché in questa che viene definita la società globalizzata percorsa da ininterrotti flussi di dati, beh, i dati fanno schifo, sono inconcludenti e non significativi.
Mettiamoci pure che nel frattempo Cina, USA e Russia giocano a chi ce l'ha più grosso e si accusano a vicenda di aver provocato la pandemia e capirete quanto è forte la voglia di ritirarmi in un silenzio claustrale rotto solo dal rumore del caffè che scende nella tazzina.
Mah...
sabato 18 aprile 2020
Uguali?
No, non siamo tutti uguali nemmeno davanti al Coronavirus, penso che ormai sia chiaro.
E dunque in un rigurgito di napoletanità nativa mi torna in mente l'unico vero esempio di uguaglianza, che copioincollo qui sotto.
Oggi va così.
Se potete, proseguite nella lettura sorseggiando un caffè.
E dunque in un rigurgito di napoletanità nativa mi torna in mente l'unico vero esempio di uguaglianza, che copioincollo qui sotto.
Oggi va così.
Se potete, proseguite nella lettura sorseggiando un caffè.
A' Livella (A. De Curtis)
Ogn'anno, il due novembre, c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.
Ogn'anno, puntualmente,in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.
St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! si ce penzo, e che paura!,
ma po' facette un'anema e curaggio.
'O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io,tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.
"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del 31"
'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele,cannelotte e sei lumine.
Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata,senza manco un fiore;
pe' segno, sulamente 'na crucella.
E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro - netturbino":
guardannola,che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!
Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?
Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura...nnanze 'e cannelotte.
Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato...dormo, o è fantasia?
Ate che fantasia;era 'o Marchese:
c'o' tubbo,'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.
E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello...'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?
Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo...calmo calmo,
dicette a don Gennaro: "Giovanotto!
Da Voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!
La casta è casta e va, si, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava,si,inumata;
ma seppellita nella spazzatura!
Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari,tra la vostra gente"
"Signor Marchese,nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?
Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo, obbj'...'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".
"E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!"
"Famme vedé... piglia sta violenza...
'A verità, Marché, mme so' scucciato
'e te senti;e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate!...
Ma chi te cride d'essere...nu ddio?
Ccà dinto,'o vvuo capi, ca simmo eguale?...
...Muorto si'tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".
"Lurido porco!...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?".
"Tu qua' Natale... Pasca e Ppifania!!!
T''o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella
che staje malato ancora e' fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella.
'Nu rre, 'nu maggistrato,'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?
Perciò, stamme a ssenti...nun fa''o restivo,
suppuorteme vicino che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie ... appartenimmo à morte!"
Se vi serve la traduzione la trovate qui:
giovedì 16 aprile 2020
Medici
E' tutta colpa di Richard Chamberlain e del suo dottor Kildare, uno dei primi Medical Drama (come si dice ora) trasmessi alla televisione.
Ho scelto la facoltà di medicina anche per merito/colpa di quella serie.
Ad essere del tutto sincero, medicina, almeno per un anno della mia vita, fu la seconda scelta rispetto all'accademia aeronautica di Pozzuoli alla quale dovetti rinunciare causa occhiali.
Ma poi, alla fin fine, è stato meglio così.
Al sesto anno di università, quando frequentavamo le cliniche specialistiche, entrai in sala parto e mi sentii a casa, facendo la scelta della mia vita che ho mantenuto fino a cinque anni fa, quando ho deciso di uscire dall'ospedale e diventare responsabile del servizio consultoriale.
Sono trent'anni che esercito la professione di medico, non solo di ginecologo, perché in un ospedale di provincia come quello in cui ho lavorato, facevamo anche le guardie di pronto soccorso e bisognava saper fare di tutto. Negli anni ho lavorato con tanti colleghi, e ho capito che abbiamo in comune una sola cosa: siamo esseri umani che si prendono cura di altri esseri umani.
Abbiamo fatto la scelta tanti anni fa e la portiamo avanti, da puri e semplici esseri umani.
Come esseri umani siamo fallibili, ci stanchiamo, ci girano le palle, ci sforziamo ogni giorno (non sempre riuscendoci) di non portare a casa le tensioni del lavoro e al lavoro quelle di casa e quando incontriamo un paziente vogliamo guarirlo o, se non è possibile, almeno lenire il suo dolore e migliorarne la qualità di vita.
Siamo esseri umani, e per questo tra noi ci sono figli di puttana, inguaribili idealisti, professionisti attirati dalla celebrità, lavoratori che inanellano, come formichine, turni dopo turni occupandosi del quotidiano e geni della ricerca che aprono nuove strade.
Ma non ci sono eroi, supereroi o santi.
E siamo sempre stati così.
Siamo sempre rimasti così mentre i politici ci esautoravano della gestione della salute pubblica ritenendo di essere più preparati a farlo di chi aveva competenze specifiche.
Siamo sempre rimasti così mentre la finanza si affrettava a dimostrare con i suoi manager che un ospedale è un azienda e deve “spendere sempre meno pur mantenendo gli stessi servizi, anzi aprendone almeno uno nuovo all'anno” (questo è stato il ritornello degli ultimi cinque anni di contrattazione budget)
Siamo sempre rimasti così mentre diventavamo Malasanità grazie alla gogna mediatica (non che non ci siano stati errori da parte nostra, sia chiaro) che ha spinto la gente a guardarci come se fossimo dei criminali, tutti indistintamente, e mai dimenticherò lo spot pubblicitario della signora Enrica Bonaccorti che spingeva a denunciare chiunque “avesse il sospetto di essere stato trattato non adeguatamente”.
Siamo sempre rimasti così mentre il nostro contratto di lavoro rimaneva al palo per dieci anni e i lavoratori delle dirigenze amministrative ed altri ambiti statali (no, la Scuola no) vedevano lievitare i loro stipendi e gli incentivi.
Siamo sempre rimasti così mentre venivano “ottimizzate le risorse” ovvero ridotti gli ospedali e i posti letto, le assunzioni di nuovo personale e l'acquisto di nuovi macchinari (mentre a livello amministrativo/politico si moltiplicavano incarichi e assunzioni).
E ci ostiniamo a rimanere così anche quando dobbiamo confrontarci con pazienti e familiari che nulla sanno di medicina e arrivano carichi di giudizi e pregiudizi, convinti di poterci insegnare il nostro mestiere.
Perché noi abbiamo giurato di curare tutti. I colleghi di Medici Senza Frontiere, nei teatri di guerra, curano gli appartenenti ad ogni fazione, e li rimettono in piedi pur sapendo che torneranno a spararsi.
E sapete qual'è il motivo? Quello che che accomuna tutti i medici?
A noi piace vedere le vostre facce “dopo”. Quando il dolore è passato, e il pericolo pure, quando ci guardate con occhi luminosi e increduli, e abbozzate un sorriso.
Questo è quanto ci è sempre bastato per continuare a lavorare, a capire che tutti i sacrifici che abbiamo fatto nella nostra vita erano serviti a qualcosa. Perché anche il più avido di noi, se lavorasse solo per il guadagno, cercherebbe un lavoro meno rischioso e più remunerativo.
Perché noi siamo qui per voi, non contro di voi.
Aiutateci piuttosto, quando l'emergenza del Coronavirus sarà finita, a riportare la sanità a buoni livelli di personale e apparecchiature e soprattutto sotto la direzione di personale competente, non di presunti manager esperti di aria fritta.
E fateci riprendere il nostro lavoro quotidiano, che ci piace tanto, con serenità.
Non abbiamo bisogno di discorsi altisonanti, spot pubblicitari e altre manifestazioni, non abbiamo nemmeno bisogno di “bonus” in busta paga, buoni solo a lavare le coscienze sporche di chi ci ha diretto negli ultimi venti anni.
Abbiamo bisogno che i nostri pazienti stiano al nostro fianco.
Volete ringraziarci? Okay, offriteci un caffè.
Ci basta.
martedì 14 aprile 2020
Libertà
"Caso mai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!"
Avete riconosciuto la frase, vero? E' quella che Truman Burbank (interpretato da Jim Carrey) rivolge al pubblico uscendo dalla segregazione che non sapeva di vivere nel finale di The Truman Show.
E giù tutti ad applaudire, commuoversi, brindare...
Un po' come quando potremo uscire di casa tutti noi.
Finalmente saremo liberi!
Ma quanto sopravvalutiamo questa parola: Libertà?
Stiamo sperimentando una forte limitazione della nostra libertà di azione, ma quella di pensiero non dovrebbe limitarcela nessuno, anche se sono in tanti a provarci. E' molto più oppressivo lasciarsi incasellare, guidare, indirizzare mentalmente verso argomenti non essenziali, polemiche da salotto, falsi bisogni che dover rimanere chiusi in casa per altre tre settimane o giù di lì.
Non siamo liberi. Non possiamo fare tutto quello che ci va. Sono convinto che anche i detentori del potere economico e sociale hanno le loro limitazioni alla libertà, altrimenti i conflitti tra politiche estere, grandi compagnie economiche e finanziarie non ci sarebbero. Guardiamoci in faccia, non basterebbe nemmeno rimodellare l'intero mondo come piace a ciascuno di noi a per farci sentire davvero liberi, forse nemmeno l'immortalità (libertà dalla morte) ci appagherebbe.
Libertà è una parola, il significato ce lo mettiamo noi. Ed è un termine dal quale deriva anche l'aggettivo "liberista" che definisce l'attuale sistema economico e finanziario che fa girare il mondo e si è fatto bellamente fottere da un virus osservabile solo al microscopio. Non dimentichiamoci nemmeno, noi italiani, che nel 1994 è comparso sulla scena politica italiana il Polo delle Libertà, formato da alcuni dei partiti eredi del Fascismo che sta alla libertà come il mio fisico a prosciutto sta a quello di Brad Pitt. La libertà è una narrazione che vogliamo sentirci raccontare.
La segregazione finirà e usciremo barattando questa segregazione con quella che ci appaga illusoriamente nel suo falso senso di libertà. Torneremo a farci guidare lo sguardo e l'attenzione da chi lo sa fare, come gli spettatori di un illusionista. Saremo convinti di essere liberi come Truman, convinti che nessuno più attorno a noi reciti una parte.
Convinti della nostra illusione quotidiana nella quale ci sveglieremo ogni giorno bevendo un caffè.
domenica 12 aprile 2020
Di Calcio & Film
Le parole di un amico mi hanno fatto rimanere di stucco.
Lui è uno di quelli al quale piace sia il calcio (tifoso sfegatato) che i film (va al cinema almeno due volte al mese). Si chiacchierava del più e del meno al telefono (il valore terapeutico e rilassante di una telefonata solo per sentire "come va?" una cosa che non facevo più da tantissimi anni) quando dice: "Mah, tu lo sai quanto sono tifoso, eppure tutta 'sta mancanza del calcio non la provo. Anzi, a sentire quanto stanno frignando e rompendo i coglioni loro, gli sponsor, e tutto il resto quasi quasi iniziano anche a starmi sulle palle tanto che, a conti fatti, considerando quanto guadagnano loro e che il mio lavoro (artigiano) è fermo almeno per un altro mese, sto considerando di togliere anche l'abbonamento a Sky."
Resto sinceramente basito, perché per me lui è la quintessenza del tifoso, avete presente di quelli che ti costringono a organizzare cene e altro in base al calendario di serie A, Champions, ecc? Ecco, appunto.
In quanto a film, invece, siamo stati concordi che dovremo aspettarci una invasione di storie sul periodo del lockdown, a partire dagli eroici medici in prima linea passando per storie lacrimevoli di amanti separati dalla quarantena fino a inevitabili gialli resi rarefatti e "scandinavi" dai paesaggi desolati delle metropoli in segregazione.
E, credetemi, nessuno di noi due ne sentirebbe il bisogno.
Ma siamo una esigua minoranza.
Immagino (da solo, stavolta) che ci saranno anche libri, romanzi, racconti, antologie, fumetti, serie tv, fiction su questo argomento in tutto il mondo e penso che per un lungo periodo li scarterò senza se e senza ma.
Quando l'industria dell'intrattenimento tornerà a lavorare ho voglia di vedere storie che mi facciano volare con la fantasia, come sempre, ma questi, si sa, sono gusti personali.
Come bere il caffè con o senza lo zucchero, insomma.
venerdì 10 aprile 2020
Tex
Io ho un appuntamento fisso ogni 7 del mese: vado in edicola a comprare Tex.
E lo faccio da quarantanove anni.
Non ho conservato tutti i Tex anche se, a dir la verità, per un periodo ci ho provato, ma i traslochi frequenti e il senso pratico hanno vinto sul feticismo del collezionista.
E poi mi rende contento pensare che altre persone abbiano potuto condividere la mia passione usufruendo dei Tex regalati.
Anche questo mese sono andato in edicola e lui era lì, in una decina di copie, con la copertina di questo mese a sfondo azzurro, il dorso bianco sempre uguale, stampato sempre in blu con quei caratteri inconfondibili e il profumo della stampa.
Negli anni sono cambiati gli sceneggiatori e i disegnatori, ci sono stati periodi di storie più o meno appassionanti, talvolta anche di stanca, poi alla serie regolare e alle sue ristampe si sono affiancati MaxiTex, Tex Gigante (o Texone), Tex Magazine, Color Tex, albi a colori in “formato francese” e perfino Tex Willer: una serie sulla sua giovinezza, ovvero quegli anni che, ad un tratto, vennero saltati nella serie regolare.
Tutte iniziative lodevoli ma che non sempre acquisto.
Il mio appuntamento è, e sarà sempre, con la serie regolare, perché nel momento in cui ho tra le mani il nuovo albo torno ragazzino, arrivo a casa ed aspetto il momento giusto per potermi isolare e goderne la lettura.
Cosa dire? Spero che tutti voi abbiate almeno una volta al mese un momento del genere, perché aiuta a vivere meglio.
Come un buon caffè.
E lo faccio da quarantanove anni.
Non ho conservato tutti i Tex anche se, a dir la verità, per un periodo ci ho provato, ma i traslochi frequenti e il senso pratico hanno vinto sul feticismo del collezionista.
E poi mi rende contento pensare che altre persone abbiano potuto condividere la mia passione usufruendo dei Tex regalati.
Anche questo mese sono andato in edicola e lui era lì, in una decina di copie, con la copertina di questo mese a sfondo azzurro, il dorso bianco sempre uguale, stampato sempre in blu con quei caratteri inconfondibili e il profumo della stampa.
Negli anni sono cambiati gli sceneggiatori e i disegnatori, ci sono stati periodi di storie più o meno appassionanti, talvolta anche di stanca, poi alla serie regolare e alle sue ristampe si sono affiancati MaxiTex, Tex Gigante (o Texone), Tex Magazine, Color Tex, albi a colori in “formato francese” e perfino Tex Willer: una serie sulla sua giovinezza, ovvero quegli anni che, ad un tratto, vennero saltati nella serie regolare.
Tutte iniziative lodevoli ma che non sempre acquisto.
Il mio appuntamento è, e sarà sempre, con la serie regolare, perché nel momento in cui ho tra le mani il nuovo albo torno ragazzino, arrivo a casa ed aspetto il momento giusto per potermi isolare e goderne la lettura.
Cosa dire? Spero che tutti voi abbiate almeno una volta al mese un momento del genere, perché aiuta a vivere meglio.
Come un buon caffè.
mercoledì 8 aprile 2020
Credere
“Credere
1.
Accogliere tra le proprie convinzioni o opinioni, per intima persuasione, per adesione spirituale, per un atto di fede; dare credito a qualcosa, ritenerlo vero.
2.
Essere certo dell'esistenza di qualcuno o di qualcosa (+ in, a ): c. in Dio; c. nella reincarnazione; c. nelle streghe (anche, fig., prestare fede a cose impossibili); c. al malocchio.”
Eccolo, il verbo più agito e quasi mai nominato di questo periodo.
Non ci bastano i comunicati ufficiali, i dati, le decisioni prese (con tutti i difetti del caso) per il bene della comunità. Noi vogliamo di più.
Abbiamo bisogno di un capro espiatorio, di un intervento magico che risolva la situazione, e per questo siamo pronti a credere a chiunque.
Siamo pronti a credere che esistono farmaci miracolosi che vengono tenuti segreti perché ci vogliono sterminare.
Siamo pronti a credere che c'è un nemico che si chiama Cina, USA, Soros, Bilderberg, Rettiliani o Cthulhu che ha prodotto e diffuso il virus.
Siamo pronti a credere che possiamo combattere il virus facendo i bulli (salvo poi fare la fine di Boris Johnson cui auguro pronta guarigione anche dei problemi mentali).
E, soprattutto, siamo pronti a credere che a noi non succederà niente (vedi sempre Boris Johnson).
L'unica cosa che non vogliamo credere è che se fossimo stati più attenti anche alle esigenze degli altri, di quella gran parte del mondo che vive in situazioni disagiate, che se avessimo avuto solo più rispetto del pianeta che abitiamo e delle persone che lo abitano con noi, forse, questa pandemia l'avremmo evitata.
E' sempre comodo credere che la colpa sia degli altri.
Fa malissimo assumersene la responsabilità allo specchio.
E, parafrasando una t-shirt molto diffusa: “Ognuno ha bisogno di qualcosa in cui credere, io credo che berrò un altro caffè
lunedì 6 aprile 2020
Nessuna pietà
Non meritiamo pietà.
Stamattina mi sento cinico, disilluso e cattivo.
La razza umana di cui faccio parte non merita alcuna pietà.
Invito il Caso, Gaia, La Natura, qualsiasi Essere Superiore o chi per essi a scegliere una nuova razza dominante per questo pianeta.
E' l'ora del transumanesimo.
Dobbiamo lasciare il posto a una forma vivente che abbia maggiore rispetto del pianeta e dei propri simili.
Perché sono così amareggiato?
Beh, leggete questo.
C'è voluto un attimo a passare da eroi a imputati, vero?
Fermo restando che nessuna categoria deve essere santificata a priori e per questo resa scevra dal controllo della legge, non siamo nemmeno usciti da questa ondata di merda della pandemia e già questi quattro miseri sciacalli, questi mestatori di sterco che nulla hanno a che spartire con chi esercita la professione forense per davvero approfittano dell'onda emotiva per guadagnare parcelle.
Non mi consola che ordini dei medici e degli avvocati stiano collaborando per arginare questo schifo, no.
La mia proposta è una sola: voglio le foto di questi principi del foro e voglio che siano affisse nei Pronto Soccorso di tutta Italia perché il primo di loro che arriva con il sospetto di COVID possa essere curato MA PAGARE DI TASCA SUA TUTTO come accade negli USA.
E lo stesso farei per tutti quelli che ricominciano a circolare liberamente perché “si sono stufati di stare a casa” “ormai è primavera” “se non faccio esercizio fisico impazzisco”.
No, non meritiamo pietà.
Facciamo un favore a questo pianeta: estinguiamoci.
Vado a bere un caffè.
sabato 4 aprile 2020
Di Case Di Carta
Ce n'è di tempo, in segregazione, per pensare a cose futili.
Ieri Netflix ha messo a disposizione la quarta stagione de La Casa Di Carta, la serie spagnola diventata un fenomeno di successo.
Ecco, appunto, un fenomeno di successo.
Vuol dire che quando è uscita la prima stagione ad un certo punto tutti si sono messi a parlare di questa serie in ogni situazione, sui giornali, alla televisione, sui social, al bar, al lavoro, in famiglia.
E quindi è stato inevitabile provare a darle un occhiata e insistere per arrivare in fondo pur vedendo che (a mio parere) non ne valeva la pena per i meccanismi fin troppo scontati, utilizzati anche bene, ma volti solo a trattenere l'attenzione dello spettatore e spingerlo a vedere l'episodio successivo allungando la narrazione a dismisura (un meccanismo noto ed utilizzato da tanti autori di serie una su tutte Shonda Rhimes).
E, alla fine di quella visione, dichiarare apprezzamento per pudore, quando amici e conoscenti venivano a dire: "Forte la Casa Di Carta, eh? Tu che sei un appassionato di serie scommetto che l'hai divorata!" Quasi a temere di offenderli.
Sicché ho scoperto (appena dopo l'acqua calda) che ci sono serie "universalmente di successo" che non mi dicono nulla e, d'altro canto, che amo serie che non piacciono a tutti.
E' una questione di gusti personali e non un dramma.
Un minimo di problema, forse, risiede nel fatto che grazie ai social le serie diventano qualcosa di paragonabile ad una fede sportiva o (quasi) religiosa (e non sto scherzando, provate a parlare con un fan "duro e puro" di Star Trek o Star Wars).
Probabilmente lo erano anche prima ma, come ormai diciamo, senza i social era diverso (nel bene e nel male).
E poi siamo in periodo di segregazione, quindi un po' più sensibili ed irritabili, dunque, ben vengano le serie per tutti i gusti, e i multipli dispositivi casalinghi per poter fruire ciascuno la propria dose di serialità per poi magari parlarne con leggerezza.
Nella consapevolezza che non tutto può piacere a tutti e che non dovremmo discriminare o litigare per motivi del genere, anzi per nessun motivo.
Ovviamente, in un mondo perfetto.
Sapete, mi chiedo che sapore abbia il caffè in un mondo perfetto.
Ieri Netflix ha messo a disposizione la quarta stagione de La Casa Di Carta, la serie spagnola diventata un fenomeno di successo.
Ecco, appunto, un fenomeno di successo.
Vuol dire che quando è uscita la prima stagione ad un certo punto tutti si sono messi a parlare di questa serie in ogni situazione, sui giornali, alla televisione, sui social, al bar, al lavoro, in famiglia.
E quindi è stato inevitabile provare a darle un occhiata e insistere per arrivare in fondo pur vedendo che (a mio parere) non ne valeva la pena per i meccanismi fin troppo scontati, utilizzati anche bene, ma volti solo a trattenere l'attenzione dello spettatore e spingerlo a vedere l'episodio successivo allungando la narrazione a dismisura (un meccanismo noto ed utilizzato da tanti autori di serie una su tutte Shonda Rhimes).
E, alla fine di quella visione, dichiarare apprezzamento per pudore, quando amici e conoscenti venivano a dire: "Forte la Casa Di Carta, eh? Tu che sei un appassionato di serie scommetto che l'hai divorata!" Quasi a temere di offenderli.
Sicché ho scoperto (appena dopo l'acqua calda) che ci sono serie "universalmente di successo" che non mi dicono nulla e, d'altro canto, che amo serie che non piacciono a tutti.
E' una questione di gusti personali e non un dramma.
Un minimo di problema, forse, risiede nel fatto che grazie ai social le serie diventano qualcosa di paragonabile ad una fede sportiva o (quasi) religiosa (e non sto scherzando, provate a parlare con un fan "duro e puro" di Star Trek o Star Wars).
Probabilmente lo erano anche prima ma, come ormai diciamo, senza i social era diverso (nel bene e nel male).
E poi siamo in periodo di segregazione, quindi un po' più sensibili ed irritabili, dunque, ben vengano le serie per tutti i gusti, e i multipli dispositivi casalinghi per poter fruire ciascuno la propria dose di serialità per poi magari parlarne con leggerezza.
Nella consapevolezza che non tutto può piacere a tutti e che non dovremmo discriminare o litigare per motivi del genere, anzi per nessun motivo.
Ovviamente, in un mondo perfetto.
Sapete, mi chiedo che sapore abbia il caffè in un mondo perfetto.
giovedì 2 aprile 2020
Silvia Romano
Stamattina bevendo il primo caffè della giornata ho pensato che sì, questa mia è una fissazione.
Perché perfino in giorni di pandemia non riesco a dimenticare Silvia Romano.
Mi permetto di rinfrescarvi la memoria: Silvia Romano, che il 13 settembre scorso ha compiuto 25 anni, è stata rapita il 20 novembre 2018 a Chakama (Kenya) da un gruppo di criminali. La ragazza si trovava lì come volontaria e si dedicava ai bambini e giovani aiutandoli ad andare a scuola.
Due degli otto colpevoli (Moses Luwali Chembe e Abdalla Gababa Wario) dovevano essere ascoltati in tribunale l'11 marzo scorso, mentre il terzo: Ibrahim Adan Oma è fuggito ed è latitante.
In tutto questo,però, proprio di Silvia non c'è notizia ufficiale. Si dice che sia stata venduta ai terroristi somali di Al Shabaab, ma il silenzio su di lei, come dicono i giornalisti quelli buoni, è assordante.
Perché mi ha preso questa fissazione?
Perché anche io sono stato a lavorare in Uganda due volte, e ho conosciuto ragazzi e ragazze come lei di nazionalità italiana, spagnola e francese, e poi, credetemi, in Africa si capisce una cosa: il valore della vita è diverso. Morire e Vivere sono molto più vicini di quanto accada qui da noi (che poi se consideriamo i femminicidi...). La rassegnazione con cui gli africani accettano la morte propria e dei propri cari fa il paio con la spietatezza della criminalità che dispone di armi e mezzi, quelli si, molto al passo con i tempi.
Ci sono state, poi, reazioni che mi hanno davvero fatto turbinare i testicoli, sapete quelle di stampo: “E che c'è andata a fare in Africa 'sta stupida? “ “Ma non poteva assistere i poveri a casa sua?” “Questa non c'aveva un cazzo da fare e mo' si vede i cazzi suoi.”
Tutte cose dette da persone per le quali, probabilmente, il massimo di condivisione è rappresentato da uno o due euro del carrello del supermercato lasciati al “negro che sta nel parcheggio e guadagna sicuramente più di me e non paga nemmeno le tasse!”
Silvia aveva bisogno di sporcarsi le mani, e la capisco, perché se non vedi, se non condividi davvero, non capisci quanto può essere fuori da ogni schema la vita di tutta quella parte di mondo.
Lei per me rappresenta lo slancio giusto nei confronti dei “meno fortunati” (altra definizione del cazzo) e vorrei tanto che tornasse al più presto sana e salva dai suoi genitori.
Ecco perché non dimentico Silvia Romano
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