mercoledì 24 giugno 2020

Nonno Giovanni

Nella mia infanzia ho conosciuto un solo nonno: Giovanni, il papà di mia madre. L'altro, di cui porto il nome, morì quando avevo quattro mesi e le due nonne erano andate via ancora prima.
Nonno Giovanni ha vissuto a casa nostra fino al mio tredicesimo anno di età ed ha rappresentato anche la mia prima esperienza di malattia e morte in casa, così come era comune in Campania negli anni '70.
Lui era la mia fonte di reddito perché gli “noleggiavo” i miei fumetti al dieci per cento del prezzo di copertina (lo so, era una scusa da parte sua per darmi qualche soldo) e perché mi incaricava di andargli a comperare clandestinamente biscotti e merendine (era diabetico) sui quali ricavavo il resto come mancia e anche la condivisione delle golosità.
Ma, soprattutto, nonno era stato un chianchiere, termine del dialetto napoletano forse derivato dalla trasformazione nel dialetto parlato di panca con chianca e che indicava il commerciante di carne al minuto che esponeva i pezzi sulle panche del mercato, insomma, il macellaio.
Quando facevo la prima elementare (preparatevi a inorridire) nonno mi portò al macello a vedere come venivano uccisi e macellati gli animali di cui mi cibavo, e disse : “Queste bestie danno la loro vita per chi le mangia. Per questo bisogna imparare a mangiarne ogni parte, altrimenti sprechi il loro sacrificio.”
Vi siete ripresi? Bene.
Nonno era stato al fronte nella prima guerra mondiale, e di tanto in tanto raccontava episodi sulla ritirata di Caporetto o sulla rivincita di Vittorio Veneto.
Parlava di giorni e giorni di ritirata bevendo neve e mangiando quello che si poteva trovare nelle case, come riso rancido e pane ammuffito, quando fumava insieme ad altri accendeva solo due sigarette alla volta con il suo cerino, perché, diceva, in trincea, alla terza sigaretta arrivava il colpo del cecchino nemico.
Alle volte, poi, d'improvviso, seduto di lato al tavolo della cucina, con la testa sorretta dal braccio appoggiato, chiudeva gli occhi e con un filo di voce attaccava. “Ho lasciato la mamma mia… tapum tapum.” Che poi ho scoperto essere uno dei più famosi canti di trincea.
In quei momenti la sua voce trasmetteva l'eco profondo dei colpi di cannone sulle montagne e la paura dei soldati al fronte.
Nonno Giovanni, che oggi avrebbe festeggiato il suo onomastico.

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