Silvia Romano è tornata a casa, lo sappiamo tutti.
Io non la conosco né conosco i suoi genitori ma il suo era un caso che mi stava a cuore, come sapete.
Mi sono commosso alla notizia e poi ho deciso di non volerne sapere più nulla.
Perché una figlia è tornata tra le braccia dei genitori e questo è quanto.
Non mi interessa se abbiamo pagato, se si è trattata di una azione militare, se lei si è convertita ed è (o non è) “quella di prima”.
Spiegatemi, per favore, come si possa essere “quella di prima” dopo un esperienza come la sua, se perfino noi che siamo stati rintanati in casa a impastare a mangiare pane e pizza ci stiamo rendendo conto che non saremo mai più “quelli di prima”.
La sua storia è finita come nessuno sperava che finisse, ed è bello essere sorpresi dalla vita, una volta tanto.
Invece nelle piazze dei social, in questi pollai del web, in queste botteghe da barbieri, in questi baretti scalcagnati, non si fa altro che continuare a polemizzare illudendosi che quello che viene scritto abbia un qualsiasi valore.
Ma solo il silenzio ha un valore, in casi come questo.
Quel bel silenzio di quando abbiamo la bocca piena di una calda sorsata di buon caffè.
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